Archivio per novembre, 2009

L’uomo, il drago e la luna

Posted in Storie e poesie on 10 novembre 2009 by campa100anni
Non attesi neanche la luce del giorno. Andai di notte. Con la luna alta nel cielo a sorvegliare i miei passi, ad indicarmi la strada. Ad illuminarmi il cammino che, ne ero certo, sarebbe stato lungo e tortuoso. Sarebbe stato difficile, sarebbe stato stremante, sarebbe stato triste. La forza non sempre avrebbe sostenuto il mio corpo. Presto la stanchezza avrebbe reclamato il mio scalpo. Probabilmente non avrei avuto la forza per oppormi ma ormai non era più tempo di attendere. Era giunta l’ora di osare. Di essere impavidi. Avevo deciso che non avrei più atteso. Avrei sfidato il destino e sarei andato incontro al mio. Morendo forse, Sì, morendo, anzi certamente. Ma attendere ancora sarebbe stato peggio. Sarebbe stato come morire lentamente, schiacciato giorno dopo giorno dal peso della colpa. Della vergogna. E della disperazione. La colpa, perchè non fui in grado di trarla in salvo. La vergogna, perchè per tutto il tempo a venire mi vergognai di essere stato così codardo. E la disperazione, per averla persa per sempre. Uccisa, davanti i miei occhi di ghiaccio. Uccisa, dal mostro a cui adesso do la caccia. Ed io paralizzato. Davanti ad un orrore così straziante. Incapace di difenderla. Incapace di salvarla. Ma capace di piangere. Di piangere accanto alle sue spoglie. Di piangere sotto le stelle. Di piangere sotto la luna. La stessa luna che adesso, con disprezzo, mi guarda dall’alto. Mi punta a dito, mi rimprovera, mi ammonisce che ormai è troppo tardi. Mi parla, mi dissuade, cerca di aprirmi gli occhi urlandomi che non ho possibilità. Che sto andando incontro a morte certa e che devo tornare indietro, prima che sia troppo tardi.  Chiama le nubi a raccolta, mi oscura il sentiero, infanga i miei passi. Si aggrappa alla mia schiena, mi offre conforto, mi promette comprensione. Mi mostra passione. Ma non mi ferma. Non riesce a frenare il mio cammino ed alla fine cede. Torna su in cielo e affianca le stelle. Caccia via le nubi perchè io non mi fermo ed allora decide di vedermi andare fino in fondo. Quasi da spettatrice. Decide di assistere al mio fallimento. Il secondo. Sempre da lassù. Inerme. Immobile. Disinteressata. Vada al diavolo anche lei. Vadano al diavolo tutti questa notte. Sì, vadano al diavolo ed aspettino il mio arrivo. Perchè stanotte ci andrò anch’io. Al diavolo. Dritto all’inferno. E’ lì che finirò quando la mia folle sete di vendetta avrà compiuto il suo dovere. Quando anch’io perirò. Ed il diavolo non sarà clemente. Non mi concederà il dono del tempo. Non mi lascierà riflettere sulle mie azioni. Non mi darà l’opportunità di pentirmi. Mi punirà, mi tormenterà e mi ucciderà. Ancora. Ed ancora. Ed ancora. Ma la notte è ancora lunga. La strada è ancora tanta. Ed il ricordo ancora nitido. Troppo. Vento. Vento negli occhi. Mi costringe a socchiuderli, a girare il volto ed offrirgli la mia guancia. In quell’attimo di distrazione la rivedo, per un attimo. Infinito. La rivedo accanto a me. Bellissima. Felice. Innamorata. Come lo ero io. Oh sì, tanto innamorato. Anche troppo. Quasi accecato dall’amore. Non avrei mai pensato che avrebbe potuto accaderci qualcosa di male. Di tanto male. Fui impreparato… Fui colto di sorpresa… Fui impreparato… Mentre la notte dorme i miei passi risuonano alle mie orecchie come una marcia. Volgo in alto il mio sguardo, guardo la luna e la riconosco. Eccola lì. Il suo ghigno mi sfida, i suoi occhi mi scrutano. E’ lei. E’ la sua complice. Se adesso sono solo, se adesso sono disperato, se adesso vado incontro alla morte è anche colpa sua. E’ soprattutto colpa sua. Un’altra folata di vento. Ancora i miei occhi chiusi. Ancora la mia guancia schiaffeggiata. Ed ancora il ricordo. Ancora lei. Raggiante. Fantastica. Bellissima. Anche le stelle la ammirano. E’ una notte fantastica. E’ tutto perfetto. La luna che diventerà mia nemica è, adesso, mia alleata e mi guarda assopita. Ci guarda assopita. Si è fatta bella. Ancora più bella. Perchè noi la guardiamo. Perchè possiamo ammirarla. Perchè possiamo contemplarla e perchè possiamo, sotto il suo sguardo, amarci. Quando cessa il vento e riapro gli occhi lei è scomparsa. Di nuovo. E così il ricordo. Sbiadito. Lontano. Vago. Oh no, non voglio che svanisca. Non voglio dimenticarla. Non posso. Non devo. Non voglio ucciderla ancora. Di nuovo. Non voglio assistere inerme, ancora, mentre me la portano via. Non mentre mi portano via la mia amata. Non di nuovo. Non di nuovo. Non di nuovo. Perdonami mia amata. Perdonami. Non glielo permetterò. Non ti farò uccidere di nuovo. Te lo giuro. Ed allora corro. Corro perchè non sono un codardo, non più. Questa volta vincerò io e la trarrò in salvo. E non ci sarà bestia che mi fermerà sia esso anche il diavolo in persona. Mi hai sentito diavolo? Non mi fermerai nemmeno tu. Non mi fermerà nessuno questa notte. I miei passi attraversano i bui sentieri del bosco ed ormai non mi curo più del pericolo. Se il destino è contro di me che faccia in fretta a venirmi a prendere, altrimenti dovrà cercarsi un’altra vittima. Dovrà cercarsi un’altra preda perchè io questa notte vincerò. Volgo in alto lo sguardo, questa volta sono io a sfidarla. Sono io a sfidare la luna ed ad urlargli di stare a guardare. Le urlo che stavolta sarò impavido, sarò coraggioso e sarò forte e che questa volta non l’avranno vinta. Non l’avranno vinta loro. Questa notte mi riprendo la mia amata. La luna accetta la sfida, regge il mio sguardo, non perde terreno e continua a ghignare. Mi scruta, mi giudica, dubita di me. Mi guarda sorridendo e non c’e’ niente di amichevole in quel sorriso. Avrò un avversario in più questa notte ma, ormai, non fa più differenza. Sono pronto e voglio combattere. Voglio combattere e non voglio più aspettare. Voglio riprendermi il mio orgoglio. Voglio riprendermi la mia amata. Guardo ancora la luna per urlarle di nuovo la mia forza ma stavolta lei non ricambia il mio sguardo. I suoi occhi sono fissi oltre di me e guardano compiaciuti qualcosa. Ci siamo. E’ arrivato il momento. Mi fermo ed il mio ansimare risuona assordante nella notte. Lui mi ha sentito. Mi volto e lo vedo. Il suo fuoco illumina i miei occhi, il suo ruggito buca le mie orecchie. Mi stava aspettando. Accucciato per terra si compiace con la luna, meritevole di avermi portato da lui. Balza in piedi e corre verso di me. Mi sono ripromesso di essere coraggioso, di essere impavido, di essere forte ed invece sono paralizzato. Di nuovo, sono terrorizzato e realizzo che è la fine. Venire sin qui è stata una pazzia ed il mio disperato tentativo di vendetta è in realtà un progetto di suicidio. Perdonami mia amata, sono un codardo e non sono degno di te. Non sono stato in grado di difenderti allora, non sono in grado di riprenderti adesso. Finirà come era ovvio sarebbe finita. Perderò. Perirò. E non sarò mai più in pace. Il mostro mi colpisce con un colpo secco ed io vengo scaraventato via. Il dolore è lacerante e ricopre ogni parte del mio corpo ma è solo un assaggio. La mia schiena finisce contro le rocce e la mia testa colpisce la dura, millenaria, pietra illuminata dalla mia gialla nemica. Quella che mi guarda, che ghigna e che lancia un cenno di intesa al suo complice. Il dolore è fortissimo ed i miei occhi cedono, si chiudono. E di nuovo accade. Ritorna lei. Mi sorride, mi abbraccia, mi stringe forte e mi dice che mi ama. Anch’io la amo e non esito a baciarla. La luna, così bella e splendente, reclama la nostra attenzione ed allora alziamo lo sguardo per non negarle la giusta ammirazione. Alziamo lo sguardo per contemplarla ed ammirarla. Ed è allora che lo vedo. Di sfuggita, con la coda dell’occhio. Lo vedo muoversi nell’ombra, silenzioso come il vento, furtivo come un serpente ma chiaro come il giorno. Lo vedo andare verso di lei, venire alla luce, spiccare il balzo. Adesso ricordo tutto. Ricordo il suo splendido viso che fissa la luna. Ed un attimo dopo i suoi occhi colmi di lacrime. Ricordo la luna splendente. Ed un attimo dopo ghignante. Ma soprattutto ricordo la mia paura. Il mio terrore che mi impedì di difenderla, di trarla in salvo, di gettarmi in una lotta che mi avrebbe visto certamente perire maalmeno battermi per la mia amata. Una lotta che non ci avrebbe salvati, ma che almeno non ci avrebbe divisi. Una lotta che, adesso, vorrei aver intrapreso. Vorrei essere stato forte. E coraggioso. E valoroso. E vorrei aver lottato. Vorrei averlo potuto battere. Vorrei aver potuto vendicarmi. E all’improvviso mi ricordo che adesso posso. Posso essere coraggioso. E valoroso. E posso lottare. E posso batterlo. Ed adesso posso vendicarmi. Quando riapro gli occhi sono io ad essere inferocito. Ad essere una bestia. Ad essere un mostro. Urlando mi scaravento contro quell’essere infernale e riesco a gettarlo per terra. Mi lancio sul suo corpo e cerco di trafiggerlo ma la sua forza è incredibile; riesce a districarsi dalla mia presa, mi colpisce con tale violenza da farmi crollare al suolo e si accinge a darmi il colpo letale. La luna ghignante fa da cornice alla sua deforme zampa che un attimo dopo cala su di me cercando di tagliarmi di netto la testa. Questa volta, però, il terrore non mi ferma ed anzi mi da la forza di lottare e di non arrendermi. Mi da la forza di reagire e di combattere. Mi da la forza di rialzarmi. Riesco a schivare il suo colpo e resto quasi sorpreso dalla facilità con la quale riesco a rimettermi in piedi ed a colpirlo alle spalle. Il suo corpo non oppone resistenza e si allontana da me roteando. Nei suoi occhi scorgo il terrore, scorgo il dolore e scorgo la sorpresa. La sorpresa… Una sensazione che mi è decisamente familiare. Quando, un attimo dopo, il suo copro viene ricoperto dalle sue stesse fiamme mi volto a fissare la luna che fino all’ultimo istante ha sperato che cedessi e che adesso, quasi imbarazzata, cerca di evitare il mio sguardo e le lancio il mio ghigno soddisfatto. Le urla di dolore del mostro rimbombano nelle mie orecchie e vedendolo bruciare nel suo falò riesco quasi a sorridere. Quando le fiamme raggiungono la sua tenda e fanno fuggire il suo cavallo, di quell’essere demoniaco è rimasto quasi niente. Una spada semi bruciata, dei bizzarri panni che portava indosso ed una sorta di pasto vicino al fuoco. La mia coda porta i segni della battaglia, le mie zampe sembrano crollare sotto il peso della fatica ma io riesco lo stesso a sorridere. Chiudo gli occhi e bacio, per l’ultima volta, la mia amata uccisa da un ammazzadraghi che ha avuto, purtroppo troppo tardi, quello che si meritava. Con gli occhi colmi di lacrime apro le mie ali e spicco il volo. Sono stremato e voglio tornare alla mia caverna. Ma lo voglio fare nuotando nel cielo. Lo voglio fare sotto la luna. Lo voglio fare fissandola negli occhi ed urlandogli, ghignando, che questa volta sono stato coraggioso. Che questa volta sono stato impavido. Che questa volta sono stato valoroso. E che questa volta ho vinto io. Io, il drago.

*= Questa storia è un tributo a “Chasing The Dragon” splendida canzone degli Epica ed è dedicata a Chasy, il mio draghetto di peluches.

Ricordi di quando…

Posted in Senza categoria on 4 novembre 2009 by campa100anni
…anadavo a scuola (media credo). Ogni tanto succedeva che mia madre doveva andare dal dottore sotto casa tipo per ricette o cazzate del genere, e mi chiedeva se volevo andare con lei a patto che avessi finito di fare i compiti. Ora, dal dottore mi facevo due palle incredibili perchè c’erano un casino di persone da aspettare e non c’era proprio un cabbaso da fare. C’erano riviste mongoloidi da leggere e nient’altro da fare. Quindi ovviamente la risposta mentale immediata era "ma va curcati" però io invece quasi sempre ci andavo. Ci andavo perchè (a senso mio) così avevo una specie di giustificazione con me stesso perchè non avevo studiato, tipo pensavo "eh vabbè, stavo studiando però poi sono dovuto scendere". Na cazzata clamorosa visto che mia madre mi chiedeva apposta se avevo finito di fare i compiti o no (ovviamente non avevo mai finito). Ma non è la sola spiegazione. Forse nemmeno quella vera. Quella vera era il fascino del tempo che non passava. Se andavo dal dottore mi facevo due palle enormi, ergo il tempo non passava mai. E allora per me andare dal dottore equivaleva ad "allungare il pomeriggio", posticipare il giorno dopo e tutto quello che ne conseguiva (compiti e cazzi e mazzi). Una stronzata geniale o se preferite una geniale stronzata. Fatto sta che stare li a vedere il cielo diventare prima grigio e poi nero, vedere le luci che si accendevano, cominciare a sentire "l’odore della sera" aveva un fascino inarrivabile. Mi piaceva stare la. Era come se avessi fermato il tempo e non fossi mai uscito da li, senza aver così più pensieri, compiti da fare, professoresse da seguire e quant’altro. Paradossalmente i momenti migliori erano proprio gli ultimi, cioè quando si faceva sera, si accendevano le luci e acquistavo "consapevolezza" del fatto che ero lì già da un sacco di tempo. Masochista del subconscio, sadico dell’anima.
Sì, decisamente una stronzata geniale.