Archivio per novembre, 2010

Discorso lineare

Posted in Senza categoria on 28 novembre 2010 by campa100anni

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Gli occhi delle stelle

Posted in Storie e poesie on 7 novembre 2010 by campa100anni

Questa e’ la storia di una piccola stella. Una piccola stella che un giorno decise di lasciare la sua galassia per esplorare un po’ l’universo di cui aveva tanto sentito parlare ma che non aveva mai visto. Era sempre stata benissimo in mezzo ai suoi soli, alle sue lune ed alle sue amiche stelle ma adesso voleva proprio vedere cosa c’era fuori dalla sua galassia, aldila’ dei suoi pianeti, oltre le mura della sua casa. Preparo’ uno zainetto con un po’ d’acqua, vi infilo’ qualche barretta di cioccolato, saluto’ le sue amiche stelle, diede l’arrivederci ai suoi pianeti, ai suoi soli, alle sue lune e parti’ in direzione del nero profondo. Non appena si allontano’ da casa avverti’ subito una strana senzazione: non si era mai allontanata tanto e si senti’ un po’ in balia dell’ignoto ma continuo’ ad andare stringendosi nelle spalle. Avanzava a piccoli passi, un po’ perche’ era piccolina, un po’ per timore di quello che poteva trovare. Aveva tanto sentito parlare dell’universo e, sebbene avesse sentito se era meraviglioso, enorme, splendente e stracolmo di meraviglie aveva anche sentito che era pericoloso, colmo di buchi neri e di meteore vaganti che andavano a spasso su e giu’ per miliardi di anni. Di tanto in tanto si voltava per guardare quanta strada aveva fatto e rimaneva sempre un po’ sorpresa nel vedere che la sua galassia sembrava sempre essere alla stessa distanza. Di strada ne aveva fatta, ne era sicura, ma la sua casa poteva vederla ancora, distinguendola chiaramente in mezzo alle sue amiche stelle, alle sue lune, i suoi soli ed i suoi pianeti. Ogni volta comunque si stringeva nelle spalle, si rivoltava verso il nero universo e riprendeva a camminare. Quando aveva sete sorseggiava dalla sua bottiglia. Quando aveva fame mangiava un boccone dalla sua barretta. Quando era stanca si sedeva un po’. L’universo era davvero enorme, non c’era che dire. Era esattamente come glielo avevano raccontato. Sembrava infinito. Non si vedeva la fine, anzi a pensarci bene non si vedeva nemmeno l’inizio e lei non aveva proprio mai visto un cartello “inizio dell’universo” o “fine dell’universo”. Forse c’erano. O forse no. Di sicuro  lei non li aveva visti. Una cosa pero’ l’aveva colpita tanto. L’universo era enorme, era immenso, era maestoso ma era anche vuoto. Era tanto vuoto che per piu’ di una volta la piccola stella ebbe la sensazione di essere l’unico essere vivente dello spazio. Le avevano raccontato di pianeti, eruzioni solari, anelli di saturno, costellazioni, ed invece niente di niente. Avanzava nel buio, nel vuoto e nel silenzio piu’ assoluto, come se qualcuno fosse arrivato di notte ed avesse messo in un sacco tutto quello che c’era e poi se lo fosse portato via. Cerco’ di battere le mani un paio di volte per vedere se qualcuno, incuriosito dal rumore, veniva fuori, di tanto in tanto tossiva un po’ sia per darsi un po’ di coraggio sia sperando che qualcuno si facesse vivo per vedere chi nel bel mezzo dello spazio aveva bisogno di bere qualcosa di caldo.  Si sentiva dentro un tunnel, un tunnel senza uscita che la stava lasciando entrare ma che, forse, ad un certo punto avrebbe anche potuto decidere di non lasciarla uscire. Quel pensiero la fece rabbrividire e rigirandosi alle sue spalle si accorse che questa volta la sua casa appariva, questa volta si’, molto piu’ lontana. Di strada ne aveva fatta tanta, ne era sicura, e questa volta ne aveva la conferma. Vedendo la sua galassia piccola piccola come non l’aveva vista mai si fermo’, pensando che forse era davvero il momento di tornare indietro anche perche’, in fin dei conti, questo tanto decantato “universo” non era mica poi questo granche’. Un ammasso di nero senza inizio e fine, tanto, tantissimo spazio vuoto dove aveva sempre creduto potessero e dovessero esserci pianeti, stelle, soli, lune, costellazioni, galassie e tante altre meraviglie che, a questo punto, pensava fossero solo fantasie o storie che le avevano raccontato chissa’ perche’ e chissa’ per come.  Si convinse che non c’era motivo di proseguire e fece per tornare indietro. Per darsi ancora un po’ di tempo sorseggio’ un altro paio di volte dalla sua bottiglietta e si sedette qualche minuto nel bel mezzo del nero. Quando si stanco’ di aspettare si mise in piedi, sbuffo’ un po’ delusa dal risultato della sua spedizione, si giro’ di spalle e fece per incamminarsi verso casa. Non appena si rimise lo zainetto in spalla, pero’, vide in lontananza un pianeta che non aveva visto prima. Forse non aveva aguzzato la vista abbastanza, forse si era distratta un attimo, fatto sta che non l’aveva visto proprio ed adesso invece stava li’, fiero, grande e possente. Era un gran bel pianeta. Tutto rosso e tutto tondo, che se ne stava fermo a fissare in alto senza curarsi del fatto di essere tutto solo al centro del nulla. Ogni tanto si grattava la testa o il naso e poi tornava a fissare li in alto senza dire una parola o senza muoversi di un centimetro per cercare di trovare compagnia. “Un pianeta decisamente solitario”, penso’ la piccola stella che avrebbe tanto voluto avvicinarsi, parlargli, fargli delle domande ma era troppo timida. Insomma, quello era un pianeta vero. Un pianeta fuori dalla sua galassia, uno dei pianeti di cui le avevano sempre parlato… Anche se forse, pero’, era l’unico. Era l’unico pianeta dello spazio forse? E perche’ se ne stava li da solo da chissa’ quanto tempo? Perche’ non andava a cercarsi compagnia? La sua galassia non era poi cosi lontana, avrebbe potuto raggiungerla comodamente quando voleva e almeno non se ne sarebbe stato li’ tutto solo e tutto triste. Era troppo curiosa di conoscerlo ed allora, alla fine, fece un respiro profondo, si fece coraggio e si avvicino’. Il grande pianeta non sembro’ neanche accorgersi della sua presenza e questo fece un po’ rattristire la piccola stella che durante i suoi passettini che la dividevano dal nuovo incontrato aveva le gambe tremanti in preda all’emozione.
“Ciao!”, disse con il cuoricino che le faceva tum tum.
Il grande pianeta volse il suo sguardo in direzione della piccola stella ma non la guardo’, come se pensasse che la voce arrivasse da dietro di lei, di piu’ anzi, come se non la vedesse proprio. Con i suoi occhi scrutava alle sue spalle, sopra la sua testa, ma proprio non incontrava il suo sguardo. La piccola stella si guardo’ indietro, poi alla sua destra e poi alla sua sinistra ma, nonostante gli occhi del pianeta scrutassero chissa’ dove, c’era solo e soltanto lei. Si strinse nelle spalle, sbuffo’ un po’ e ci riprovo’:
“Ehi, sono qui!”.
Il grande pianeta fece una piccola smorfia di disappunto, un po’ seccato di non sapere chi gli stava rivolgendo la parola, e continuo’ a voltarsi di qui e di li come se stesse dando la caccia ad una fastidiosa mosca. Finalmente, dopo decine di tentativi falliti,  la scorse in mezzo al buoi pesto di quell’univero:
“Toh! Ciao! E tu chi sei?”.
“Sono una piccola stella”, rispose lei finalmente libera di mostrare tutta la sua eccitazione. Incrociando leggermente i piedi per l’imbarazzo continuo’:
“E tu chi sei?”.
“Oh, io sono solo un piccolo pianeta. Niente di piu’, niente di meno.”.
“Piccolo? Beh, forse non sei un sole ma non mi sembri proprio tanto piccolo”, ribatte’ lei accennando un mezzo sorriso che per il forte imbarazzo assunse tanto la forma di una strana smorfia sulla sua piccola bocca.
“Beh, che non sono un sole non ci sono dubbi direi”, rispose lui ricambiando con un ben piu’ sicuro sorriso, “pero’ ammetterai che tanto grande non sono”.
La piccola stella, rassicurata dal tono amichevole del grosso pianeta incalzo’:
“Beh, sei sicuramente piu’ grande di tutti i pianeti che ci sono nella mia galassia”.
“Davvero?”, chiese lui, “E da quale galassia vieni tu?”.
La piccola stella volto’ le sue spalle ed indico’ col dito l’ammasso di luci che si scorgeva in fondo al nero, come la fiamma di una candela accesa in una stanza buia, sentendosi un po’ emozionata trovandosi per la prima volta nella sua vita a mostrare la sua casa a qualcuno che non l’aveva mia vista prima.
“Eccola li. Lo so, non e’ molto grande ma ti assicuro che e’ molto, molto bella.”.
Il grande pianeta sorrise di nuovo:
“Beh, non ho dubbi che sia molto bella ma di certo non me ne accorgerei da qui. Dovrei almeno vederla prima di poterlo dire.”.
La piccola stella si rizzo’ in punta di piedi come una bimba capricciosa che gioca a fare l’offesa:
“Daiii! Quella laggiu’!”.
“Quale? Quella viola con tre soli? O quella verde con nove pianeti? O quella gialla avvolta dalle nubi?”.
La piccola stella si volto’ di nuovo, poi riguardo’ il grande pianeta:
“Viola? Tre soli? Verde? Nubi? Ma se e’ li’!”.
Il grande pianeta scruto’ l’orizzonte come se dovesse vedere oltre un milione di stelle e il suo imbarazzo nel non trovare la sua casa le parse assolutamente autentico.
“Ma davvero non la vedi?”, chiese quasi a volerlo togliere da quella scomoda posizione.
“Oh andiamo, come potrei vedere la tua galassia e riconoscerla in mezzo a tutto l’universo?”.
“Tutto l’universo? Ma se c’e’ solo lei! C’e’ solo la mia galassia nell’universo e tu sei il solo che ci vive fuori! Anzi, perche’ non vieni con me invece di startene qui tutto solo?”.
“Tutto solo? Ma ti sei guardata intorno?”.
“Certo che si! Ci sei solo tu qui!”.
Il grande pianeta la guardo’ fisso poi ribatte’:
“Ma sei nel bel mezzo dell’universo! Come potrei essere da solo? Insomma guardati intorno! Guarda quante stelle, quanti pianeti, quanti soli, meteore, asteroidi!”.
La piccola stella si guardo’ intorno e la sola cosa che vide fu l’immensita’ del suo universo vuoto, triste e deserto. Ma il grande pianeta era serio, continuava ad indicare, ad elencare, a descrivere. La piccola stella si convinse che il solo ed unico abitante dell’universo era in realta’ un matto da legare.
“Troppo tempo da solo, e’ uscito fuori di testa” penso’ e decise di assecondarlo perche’, in fin dei conti, anche se un po’ matto, era simpatico e parlargli le piaceva.
“Ma certo che li vedo”, riprese allora, “Ti prendevo in giro! Come potrei non vederli proprio qui al centro dell’universo?”.
Il grosso pianeta si mostro’ sollevato e gentilmente sorrise ancora:
“Accidenti a te stella! Ho quasi creduto che fossi matta!”.
La piccola stella sorrise e mantenne vivo l’argomento:
“E ti piace questo universo?”.
“Oh, e’ meraviglioso. Assolutamente meraviglioso. Sono pieno di amici qui. Tutti intorno a me. Ci divertiamo tanto, ci raccontiamo tanto, e poi… E poi c’e’ lei… La cosa piu’ bella che abbia mai visto, proprio lassu’.”.
Il grande pianeta alzo’ lo sguardo ed indico’ con il dito sopra di lui.
“La luna?”, chiese la piccola stella.
“La luna.”, annui’ il grande pianeta, “e’ meravigliosa. Non ho mai visto niente di cosi bello, dolce e tenero. La amo follemente. Non le ho mai parlato, credo che lei non mi abbia neanche mai visto, ma io spero ogni giorno. Spero che un giorno riesca a rivolgerle la parola ed a dirle quanto l’amo”.
La piccola stella, che non era mai stata innamorata, sorrise e si trattenne ancora un po’ con il suo nuovo amico. Quando si fece troppo tardi decise che era ora di tornare a casa. Saluto’ il grande pianeta, si rimise lo zainetto in spalla ed a piccoli passettini torno’ verso la sua galassia un po’ sollevata di lasciare tutto quel nero, quel silenzio e quella solitudine. Il grande pianeta era tutto matto, non c’era altro da pensare. Insomma, se ne stava li tutto solo a fissare la luna e vedeva stelle, pianeti, asteroidi dappertutto. “Altroche’ pieno di amici” penso’, “qui non c’e’ proprio nessuno”. Ma nonostante tutto era gentile, molto gentile ed era anche simpatico. Cosi’ prima di andare via gli promise che sarebbe tornata a trovarlo spesso in modo che lui potesse raccontargli ancora del suo universo e dei suoi amici. E cosi fece. Ogni giorno la piccola stella lasciava la sua galassia per inoltrarsi nell’oscuro e solitario universo alla volta del grande e solitario pianeta. Lui si diceva sempre sorpreso dalla facilita’ con la quale lei lo riusciva sempre a ritrovare tra i miliardi di pianeti vicini; lei sorrideva, “ormai conosco la strada” ma naturalmente era come trovare una lampadina accesa in una stanza buia. Si trattava solo di raggiungerla e toccarla. Passavano giorni interi a parlare ed a raccontarsi delle rispettive galassie, con il grande pianeta che di tanto in tanto indicava qualcosa nel buio pesto dell’universo e la piccola stella che fingeva di vederci ora un pianeta, ora una cometa ed ora un’astronave. Ma dopo qualche tempo alla piccola stella successe qualcosa. Si rese conto che ogni giorno andava a trovare il grande pianeta non soltanto per sentire storie su un mondo che non c’era. Si rese conto che andava dal grande pianeta perche’ gli piaceva sentirlo parlare. Di piu’. Gli piaceva “vederlo” parlare. Gradiva il suono della sua voce, le piaceva vederlo muoversi, vederlo sorridere e che era sempre piu’ difficile salutarlo quando era ora di tornare a casa. Se ne accorse a poco a poco. Giorno dopo giorno. Si accorse che si era innamorata di lui. Era una sensazione strana per lei, tutta nuova, ma le piaceva. Le piaceva come si sentiva quando dal buio cominciava a vederlo venir fuori e senza accorgersene affrettava sempre il passo quando stava ormai per raggiungerlo. Le piaceva quando lui le sorrideva e le piaceva anche quando tornando a casa sapeva che il giorno dopo lo avrebbe rivisto. Si era innamorata del grande pianeta. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, non riusciva a smettere di parlargli, di fargli domande per prolungare il piu’ possibile il tempo da passare insieme. Continuava ancora a tornare a casa quando era tardi e ripartire la mattina dopo per rivederlo, ma giorno dopo giorno lo lasciava sempre piu’ tardi per ritrovarlo sempre piu’ presto. Fu tutto un crescere. Senza preavviso e senza spiegazione. Lei non lo capiva ma le piaceva e tanto bastava. Finche’ una notte successe una cosa. Una cosa che non avrebbe mai creduto prima. Si era trattenuta tutto il giorno a parlare con lui, persa nei suoi occhi, ipnotizzata dalle sue parole ed incantata dalla sua bocca nella quale avrebbe voluto perdersi per sempre. Parlarono tantissimo, sorrisero tantissimo ed arrivo’ il momento di salutarsi ancora una volta. La piccola stella era seduta su un ammasso di nuvole che solo il grande pianete vedeva ma che, in realta’, non esisteva e posando un ultimo sguardo sul suo amato si mise in piedi. Un ultimo sguardo sorridente prima di riprendere la via di casa ma appena volto’ le spalle le si paro’ davanti agli occhi una visione che la costrinse a fare un balzo indietro per la sorpresa. Non credeva a quello che vedeva, doveva essere un sogno non c’erano dubbi. Si strofino’ gli occhi, si diede un pizzicotto, conto’ fino a dieci ma la visione non spariva. Era ancora li, davanti a lei. Un’immensa distesa di stelle le si parava davanti, quasi ad accecarla tale era il bagliore che liberavano. Un’infinita’ di pianeti colorava l’universo come la frutta candita colora una fetta di torta. Ed ancora galassie, soli, lune, meteore, comete, un milione, un miliardo, un trilione di triliardi di forme, di colori, di costellazioni adesso riempiva quel nero cupo ed eterno che fino a qualche secondo prima era stato l’unico universo che lei avesse mai conosciuto. Non riusciva a pensare, non riusciva a capire cosa stesse succedendo, sapeva solo quello che vedeva ed era una cosa meravigliosa. Si fece mille domande, ma a nessuna di queste sappe rispondersi. Poi pero’ si volto’ verso il suo pianeta. Si volto’ verso il suo pianeta e capi. Si rivolto’ ancora verso il nuovo universo, e con gli occhi lucidi di lacrime sorrise. Non aveva mai visto niente di cosi meraviglioso ed adesso sapeva perche’. Non gli aveva creduto. Al suo amato. Non gli aveva creduto. L’aveva creduto folle ed invece adesso sapeva che l’universo, quello vero, era quello. Che era enorme, che era infinito, e che era meraviglioso. Quella notte la piccola stella non torno’ a casa. Non ci torno’ mai piu’. Resto’ per sempre accanto al suo pianeta, in mezzo all’universo, confondendosi tra i miliardi di stelle che popolano lo spazio. Ancora adesso se alzate gli occhi in cielo potete vederli. Vicini, uno all’altra. A contemplare i loro rispettivi amori. La luna lui, il pianeta lei. Potete vederli che si raccontano, sorridenti, le loro storie. Agguzzate la vista e li vedrete di certo. Ma se anche non doveste vederli, se scrutando il cielo non dovestre trovarli abbiate pazienza. Non fate come la piccola stella. Non datemi del folle. Aspettate, attendete. Forse non e’ ancora il momento. Forse non e’ ancora il “vostro” momento. Attendete ancora un po’, cercate meglio, guardate bene. Ma, statene certi, quando meno ve lo aspettate li vedrete venire fuori. Li vedrete venire fuori insieme a miliardi e miliardi di altre meraviglie. Di pianeti, di galassie e di costellazioni. Di luci, di scintille e di polveri lucenti. Di meteore, di vulcani e di montagne. Ed allora mi crederete. Capirete che non sono folle. Vedrete quello che non avevate visto.
Forse non li vedete ma fidatevi, ci sono.

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Questa storia e’ un inno all’amore. Perche’ quando ci innamoriamo vediamo tutto con altri occhi. Sentiamo cose che non sentivamo. Vediamo cose che non vedevamo. Troviamo nuove forze e nuove motivazioni.
Accendiamo la luce. Vediamo oltre il buio.

Dovremmo essere sempre innamorati.

Intervento confuso

Posted in Senza categoria on 1 novembre 2010 by campa100anni

“Pensieri sparsi, per il giorno di San Valentino 2004. Oggi è una festa inventata dai fabbricanti di cartoline di auguri, per far sentire di merda le persone. Non sono andato al lavoro oggi. Ho preso un treno per Montoauk… Non so perchè… Non sono un tipo impulsivo.”.

Cosa è il caso? Esiste il caso? Chi crede nel destino probabilmente vi dirà di no e che il caso era in realta previsto ed allora non era un caso. Chi non crede nel destino probabilmente vi dirà che il caso esiste ed è il principale artefice dei fatti della nostra vita. E’ sempre una questione di punti di vista, in tutte le cose anche in questa.  Io non lo so se esiste, certo a volte succedono cose che per certo vengono fuori da una serie di eventi concatenati. Trovare la connessione a tali eventi a posteriori è sempre più facile ed allora il caso può essere “razionalizzato” ma a volte può essere davvero difficile. Personalmente io da un pò di tempo il caso lo vivo da spettatore, quasi da passante. Io ci credo al caso.  A volte credo anche al destino ma in generale credo più al caso e comunque non credo sia reato credere un pò in tutti e due. Ad ogni modo io lo vivo un pò da passante perchè quando mi succede qualcosa che reputo scaturita da una serie di casualità non mi fisso più a pensarci. “Ok, è stata una casualità”, fine e amen. Che poi fermarsi a pensarci un giorno intero non serve proprio a niente perchè alla fine della giornata si arriva sempre alla stessa conclusione e cioè “eh vabbè, comunque” quindi io ci arrivo prima e stop. Anche recentemente mi sono comportato così, in seguito ad una situazione venutasi a creare da un paio di casualità da non dormirci la notte o quasi (soprattutto una). E’ un caso anche che stavolta mi trovo un pò dalla parte opposta della scacchiera rispetto a dove mi sono trovato le ultime volte che una situazione del genere è capitata e vedo con gli occhi di chi mi ha visto prima, if that makes sense. Le cose del caso non le puoi mai sapere e ci sono cose che proprio non puoi controllare, ti scappano dal collare, anche se escono dalla tua testa non le hai fatte entrare tu, ci sono entrate da sole chissà da dove. Così poi ti trovi a scrivere un intervento sul blog alle tre e mezza di notte per cercare di capirci di più quando invece ti eri imposto di non volerci proprio capire una beneamata. Ma la testa e la Testa non seguono la stessa direzione ad allora c’è poco da fare.

“Fu per qualcosa che avevo detto? -Sì, avevi detto ‘allora vattene. Con un tale disprezzo che… -Ah… scusa… -Non fa niente…'”.

…Ci vediamo a Montauk…