Archivio per gennaio, 2011

Questioni di copyright

Posted in Senza categoria on 28 gennaio 2011 by campa100anni

Mi è giunta voce che la mia storica soprastante frase del blog “due linee parallele non si incontrano mai… e se si incontrano non si salutano” sarebbe una citazione di Corrado Guzzanti o Aldo Giovanni e Giacomo o non so bene chi altri. Ci tengo solo a precisare che la suddetta frase è stata categoricamente ed assolutamente pensata da me medesimo senza nessuno spunto esterno ne, tantomeno, una citazione. Se l’ha detta PURE qualche comico sticazzi, io soldi non ne do a nessuno. La frase per me è mia perchè non l’avevo sentita mai dire da questi qua. Solo per precisare, si ponnu attaccari o tram si mi chiamanu e bonnu picciuli. Issiru a travagghiari.

Perdonami notte

Posted in Senza categoria on 22 gennaio 2011 by campa100anni

Alcune cose sono relative. Cambiano secondo il punto di vista, il momento, l’umore, secondo tante cose. Molte cose sono relative. E=mc al quadrato, per esempio, è la formula della relatività ma non è la relatività di cui sto parlando. Una cosa è relativa se può essere considerata o vista in diversi modi a seconda di una determinata “circostanza” o “situazione”. L’esempio più semplice e chiaro è la bellezza. Una cosa può essere bella per me e brutta per te. La cosa è sempre uguale, è sempre quella soltanto che io la trovo bella e tu no. Chi ha torto? Nessuno. A me piace secondo i miei gusti, a te no secondo i tuoi. Amen. La bellezza è sacrosanto che sia relativa, sia ringraziato il cielo. Se non lo fosse tutti troveremmo belle e brutte le stesse cose e sarebbe l’inferno in terra. Non potremmo comprare un vestito, mangiare una pizza, visitare un locale perchè tutti lo vogliono, tutti lo piacciono e tutti ci vanno. Lo so, “lo piacciono” non esiste ma mi piaceva come suonava la frase.  Meno male che esiste la relatività, meno male che non siamo tutti uguali. Alcune cose è normale che siano relative, anche meglio direi. Altre non lo sono. Non solo non lo sono ma non possono proprio esserlo. Il tempo per esempio. Il tempo è relativo? Sì, assolutamente si. Il tempo è relativissimo direi. Stare tre ore fissando il muro o chiaccherando piacevolmente con gli amici non è per niente la stessa cosa. Il tempo passato a fissare il muro lo sentiamo tutto, quello passato con gli amici no. Guardiamo l’orologio dopo cinque mezz’ore e sgraniamo gli occhi quando ci accorgiamo che è già ora di prendere il cappotto e salutare tutti altrimenti la pasta si fredda. Ma guardiamo l’orologio e sbuffiamo quando ci accorgiamo che quel maledetto muro lo fissiamo soltanto da una di mezz’ora. Ed allora il tempo è relativo? Ma no… Il tempo non può essere relativo, andiamo. Un secondo è un secondo per tutti, il tempo dovrebbe essere uguale per tutti. Dovrebbe andare alla stessa velocità ma non lo fa. Non lo ha mai fatto con me. Sin da bambino. Quando pensavo alla notte. Quando pensavo alle ore notturne. Le ore notturne per me erano eterne. Le due di notte era un orario assolutamente infinito. Il pensiero di stare sveglio “tutta la  notte” mi avrebbe fatto temere undici o dodici ore di oblio. La notte era fatta per dormire, e se non avessi dormito non sarebbe mai arrivato il giorno. Per questo dormivamo. Il sonno era un “ponte” tra il giorno vecchio e il giorno nuovo. Era un teletrasporto tra l’oggi e il domani, il Caronte che traghetta fino al mattino sul mare notturno, il salto per passare oltre la buca. Pensare alle tre di notte mi faceva venire in mente il nero, il silenzio; avrei ragionevolmente potuto immaginare folletti e spiritelli nei boschi incantati venir fuori a quell’ora perchè alle tre di notte il mondo non era come lo conoscevo. Era incantato, forse; infestato, forse; magico, forse. Avrebbe potuto essere qualunque cosa perchè, a quell’ora, non era il mio di mondo. Le “ore piccole” per me erano enormi. Di piccolo avevano solo il nome, io le temevo, le veneravo. “Ieri mi sono svegliato alle tre e mezza per bere”, “cooosa? Alle tre e mezza?” terrore, sacrilegio. Io non mi sarei alzato, mi sarei rigirato con quella fretta di addormentarmi che solo i bambini conoscono per cercare di sfuggire alla notte che aveva vigliaccamente usato uno sporco trucco per farmi prigioniero. Un colpo basso quello della sete. Svegliarmi apposta per potermi torturare. Ingiusta. Sadica. Quasi diabolica. Ed allora via, con il cuore che batte a mille ad usare tutti i trucchi del mondo per correre via, rifugiarsi nelle otto del mattino, scacciare il buio ed il silenzio con il sole ed il rumore della tivù e del tiggì. Contiamo le pecore, pensiamo alle nuvole o al cartone dove Pippo tornava a casa stanco in macchina e vedeva letti volanti in cielo. Riaddormentiamoci a tutti i costi. Se la cosa richiede tempo combattiamo la notte con la spada. Sguainiamo una canzoncina qualunque e canticchiamola per prendere tempo. Teniamo lontane le sue braccia con la filastrocca, sottraiamoci ai suoi artigli con le rime. Facciamole sentire che non ci fa paura, che siamo coraggiosi e che non la temiamo. Quando mi sveglierò di giorno, illuminato dal sole saprò che ho vinto io ancora una volta e mi sentirò un pizzico più forte. Almeno fino a stanotte sarò vincitore. Poi la notte tornerà e dovrò farmi di nuovo forza ma ci penserò in seguito.

Poi però, d’improvviso, cresciamo. Diventiamo grandi e coraggiosi. Diventiamo adulti e capiamo che la notte è solo la notte. Le tre di notte sono come le dieci del mattino. Se abbiamo sete ci alziamo, buio o non buio. Restare svegli non solo non ci spaventa ma a volte addirittura ci piace. Impariamo ad usare la notte, la razionalizziamo, la recicliamo, la adoperiamo, la sottomettiamo. Non siamo più noi ad essere i suoi schiavi. E’ lei ad essere la nostra. E’ lei che ci ubbidisce e ci da tempo per scrivere, per leggere, per divertirci, per pensare, fantasticare, parlare, studiare. La modelliamo, la manovriamo. Marionetta. Pupo siciliano. Diventa nostra. Di nostra proprietà, proprio come il giorno. L’una del pomeriggio e l’una di notte hanno lo stesso peso, la stessa importanza, la stessa dimensione. Tutto diventa piatto, grigio e triste. Vanno via i folletti e gli spiritelli, si dileguano gli artigli e le braccia, si zittiscono le voci ed i bisbigli. “Tutta la notte” vuol dire solo quattro ore, tutt’alpiù cinque se vogliamo essere generosi. Anche dalle otto a mezzogiorno sono quattro ore ma non facciamo tutta ‘sta manfrina ed allora smettiamola. La notte è solo la fine del giorno. Non c’è niente di magico, non c’è niente di niente. E’ soltanto la notte come prima era il giorno. Tutto risolto, tutto passato. Tutto finito, almeno per noi. Per noi che siamo grandi e non più bambini. Ma la magia non se n’è andata, è ancora presente. Non la vediamo ma è ancora forte. Se non ci crediamo prendiamo un bambino. Teniamolo accanto fino al mattino. All’uscire del sole raccontiamogli i nostri pensieri ed ascoltiamo i suoi. Ci sembrerà di non essere stati nella stessa stanza, forse nemmeno nello stesso mondo. La sua notte è stata magica, la nostra è stata piatta. E’ stata la stessa notte.
Solo che lui la magia non gliel’ha ancora rubata.

No notte, non è un addio.
Al contrario, non ti temo.